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Il referendum del 4 dicembre sulle riforme costituzionali promosse dal governo Renzi ha scatenato un dibattito che non sempre serve a fare chiarezza sui contenuti e sui fini della riforma stessa. Avendo una formazione storica per abitudine mi reco “ad fontes”. Cercando vari documenti mi è capitato di trovare e di leggerne uno, di cui spesso si parla negli ultimi mesi. È un breve testo di 16 pagine edito dall’istituto J. P. Morgan, titolato “The Euro area adjustment: about halfway there” e pubblicato il 28 maggio 2013.

In questo documento, l’istituto bancario J. P. Morgan – ritenuto dal governo Obama uno dei responsabili principali della crisi economica del 2008 – indica gli ostacoli maggiori che, sempre secondo l’istituto, frenano la crescita economica. In un brevissimo paragrafo dal titolo “The journey of national political reform“ il testo ci spiega che le costituzioni degli stati di periferia (il sud europeo) sono nate dopo il crollo di sistemi dittatoriali e di conseguenza sono state formulate sulla base delle esperienze precedenti il 1945. Implicitamente passa il messaggio che sono oramai obsolete. Infatti, secondo J. P. Morgan queste costituzioni sono influenzate da idee socialiste e dai partiti di sinistra divenuti politicamente forti dopo la caduta del nazifascismo. Ma non solo. Secondo J. P. Morgan i sistemi politici della cosiddetta periferia (compresa l’Italia) sono caratterizzati da esecutivi deboli, da stati deboli rispetto alle regioni, dalla tutela costituzionale dei diritti dei lavoratori/delle lavoratrici, da un sistema che crea consenso favorendo il clientelismo ed infine, sottolinea l’istituto J. P. Morgan, dal diritto di sciopero (nel citato documento si parla di “right to protest”). Dunque, sempre secondo J. P. Morgan, queste debolezze [sic!] del sistema politico hanno plasmato l’economia dirottandola in una crisi profonda. Gli insuccessi delle riforme fiscali ed economiche nei paesi del sud Europa, secondo J. P. Morgan, sono da addebitare alle costituzioni che limitano fortemente la libertà dei governi, dai regionalismi e dall’ascesa di partiti populisti. Secondo l’istituto bancario il test chiave lo si avrà in Italia, in cui il governo avrebbe la grande opportunità di realizzare riforme significative. Che tradotto vuol dire governi forti e parlamenti indeboliti nella loro funzione di controllo sui governanti, un nuovo centralismo statale che riduce le competenze e l’autonomia regionali, l’indebolimento dei diritti dei lavoratori/delle lavoratrici ed infine la limitazione del diritto di sciopero.

Sarà un caso, ma studiando le proposte di riforma costituzionale sulle quali siamo chiamati ad esprimerci il 4 dicembre, le affinità con quelle di J.P. Morgan saltano all’occhio. Si fa difficoltà a non credere che la riforma costituzionale renziana sia frutto di consigli da parte di suggeritori che siedono nei vari istituti finanziari e bancari con enormi interessi economico-finanziari ed enorme peso economico-politico. Fra questi anche l’istituto J P Morgan.

Carl von Clausewitz nel 1832 affermava che “la guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi. La guerra non è, dunque, solamente un atto politico, ma un vero strumento della politica, un seguito del procedimento politico, una sua continuazione con altri mezzi.” Oggi evidentemente è la politica ad essere un mezzo e la continuazione dei grandi interessi economico-finanziari. È più necessario che mai un approfondito dibattito sull’essenza della democrazia come sistema partecipativo. Da troppo tempo le decisioni politiche fondamentali non nascono più nei partiti politici, ne all’interno dei governi, e tantomeno sono espressione della volontà degli elettori/elettrici.

Il testo originale al quale faccio riferimento: “The political systems in the periphery were established in the aftermath of dictatorship, and were defined by that experience. Constitutions tend to show a strong socialist influence, reflecting the political strength that left wing parties gained after the defeat of fascism. Political systems around the periphery typically display several of the following features: weak executives; weak central states relative to regions; constitutional protection of labor rights; consensus building systems which foster political clientalism; and the right to protest if unwelcome changes are made to the political status quo. The shortcomings of this political legacy have been revealed by the crisis. Countries around the periphery have only been partially successful in producing fiscal and economic reform agendas, with governments constrained by constitutions (Portugal), powerful regions (Spain), and the rise of populist parties (Italy and Greece). […] The key test in the coming year will be in Italy, where the new government clearly has an opportunity to engage in meaningful political reform.”

[tratto da: The Euro area adjustment: about halfway there, a cura di J. P. Morgan, pgg. 12-13]

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